




Titolo: 1. SEMBRAVA FOSSE AMORE, INVECE È SOLO GHOSTING
Ovvero storie di ordinaria mitologia
Se vogliamo dar credito alla teoria sulla prima impressione di Vanni, immagino che anche questo blog non sia partito proprio con il piede giusto. Magari ci volevano delle presentazioni più canoniche: chi sono che faccio che tipo di attaccamento materno secondo la teoria di Bowlby ho… ma sì è visto che anche queste presentazioni non è che portino a grandi risultati…
Il mio nome lo sapete. Mia madre l’ha scelto per Arianna - Love in the Afternoon, un film con Audrey Hepburn, sperando potessi ereditarne grazia ed eleganza; invece niente, secondo me ha scelto il film sbagliato perché ho soltanto ereditato una pessima capacità di discernimento in fatto d’uomini. E dati anche gli antecedenti mitologici, ho dedotto che la colpa di questo disagio millenario risieda nell’onomastica.
Sapete che l’espressione "piantare in asso" deriva da "piantare in Nasso"? Nasso è l’isola in cui Arianna, la mia omonima antenata mitologica, è stata impunemente abbandonata da Teseo dopo aver scopato.
Facciamo un rapido sunto delle puntate precedenti della storia: la faccenda del Minotauro, del filo e il labirinto la conoscete, no? ebbene dopo tutto ciò, in preda alla passione, Arianna fugge con Teseo che le ha promesso il mondo e l’altro, le nozze, i figli, la casa sull’Olimpo vista mare… cosa non prometterebbero gli uomini pur di farsi una scopata eh…
Arianna, scema che più scema non si può, crede ovviamente a tutto ciò, i due fanno un pit stop a Nasso per farsi sta sveltina, dopodiché durante la pennichella after sex, lui prende e scappa, hasta la vista è stato bello ma chittesencula.
Io mi immagino quella poverina che si sveglia e ancora con gli occhi chiusi allunga il braccio dietro di sé per cercare Teseo e sbem: ingiustament ghostata.
Fantastico no? Il mio nome è associato al primo caso di ghosting nella storia dei tempi.
Ecco, sì, una questione per cui mi batterei socialmente in effetti c’è: il ghosting, sì il ghosting e no, questo mio impegno civile non dipende dal fatto che dopo la storia della casa al mare e tre giorni di conversazione i-n-i-n-t-e-r-r-o-t-t-a, Filippo puff sia sparito all’improvviso no, non conta, assolutamente non conta.
Ci farei un grande comizio in piazza sul ghosting, un comizio per indire innanzitutto un referendum che abolisca questo nome demmerda, perché dare un nome alle cose vuol dire confermarne l’esistenza, dargli una voce nel vocabolario Treccani e una porzione di fama nella storia della lingua internazionale, quando invece sta piaga dell’umanità non dovrebbe proprio esistere.
Da quando abbiamo normalizzato l’essere stronzi? Proprio così direi al comizio.
Fino a qualche anno fa non mi pare che fosse così ordinario sparire così alla cazzo de cane dalla vita di qualcuno, certo, con le dovute eccezioni, ma fino a qualche anno fa c’avevamo più coraggio, c’avevamo i coglioni di accannare. Com’è bello questo termine romano… ‘accannare’…queste sono le parole da inserire in Treccani: uno "lascia", "molla", "accanna"… non "ghosta", li mortacci vostri li mortacci.
Forse sono stata fortunata io con gli uomini, cosa di cui dubito fortemente, ma nessuno m’aveva mai così spudoratamente ghostato. Per quanto stronzi che fossero, si sono presi tutti e dico tutti perché m’hanno accannato tutti, il 99% dai, si sono presi tutti la responsabilità di mollarmi.
Magari lo facevano per messaggio, o con una canzone, o tramite l’amante, o tramite la madre ho detto io che fortunata con gli uomini non credo proprio, ma comunque lo facevano. Si facevano il segno della croce e si preparavano a pianti, urla, papironi su WhatsApp in piena notte.
E anche quando mancavano i coglioni per mollare, non era mica così facile sparire, nossignore. Prendiamo come esempio la mia storia con Mattia.
15 giugno 2014. Ci siamo conosciuti una sera in cui non dovevo uscire, iniziano così le più belle storie d’amore ma appunto col cazzo che c’ho fortuna io. Ero in piena sessione maturità, nonché in lutto per la recente rottura con Alessandro dopo tre anni di relazione (parleremo di lui prima o poi, in ogni caso qui trovate l’elenco delle comparse che popolano la mia vita, così da non perdere il filo... il filo eh eh…).
Quel pomeriggio avevo deciso di prendermi una pausa dallo studio per raggiungere amici a una partita di basket. "Magari mi sto rinchiudendo in casa a piangere per quello stronzo di Ale quando l’uomo della mia vita è lì fuori ad aspettarmi", mi son detta e ok, può sembrare che tutti gli uomini io li consideri come i potenziali uomini della mia vita e in effetti è così, ma comunque partendo dai miei quasi 27 anni ed eliminando i primi dodici anni di esistenza beata senza uomini, il periodo dai 18 ai 25 anni è una porzione bella abbondante. Quindi alla fine non è del tutto sbagliato affermare che è andata proprio come avevo detto, che quel giorno ho conosciuto effettivamente l’uomo della mia vita finora vissuta… Il destino si impegna davvero solo quando vuol fartela pagare.
Dopo il primo, consueto, idilliaco mese insieme, abbiamo iniziato a litigare parecchio, diciamo quasi con frequenza giornaliera, ed era un bel cazzo di problema chiudere la conversazione e non rispondere più all’altro ai tempi dei miei 18 anni: su WhatsApp c’erano ancora l’ultimo accesso e le conferme di lettura e soprattutto in generale c’era ancora un minimo di umana decenza; perciò non sembrava tanto carino risultare online o da poco disconnesso e non rispondere ai messaggi.
Anche perché stiamo parlando di una generazione che ha vissuto i primordi dell’adolescenza su MSN: se non rispondevi in meno di tre minuti venivi tartassato di trilli, c’avevamo pure l’estensione per mandarne uno al secondo. Col cazzo che potevi ignorare qualcuno e passarla liscia, col cazzo.
E quindi che faceva Mattia quando non voleva parlarmi? Spariva da WhatsApp: per non leggere e dunque non rispondere a un messaggio, lui non entrava su WhatsApp. Per due-tre-cinque-otto-dodici ore. E quando parlo di non entrare su WhatsApp, intendo che addirittura spegneva la connessione internet, così che i messaggi risultassero con una sola spunta, non due, perché altrimenti gli sarebbe comparsa l’anteprima sul display e la minima decenza imponeva ancora che se compariva un messaggio, tu a quel cazzo di messaggio ci dovevi rispondere. Perciò per ovviare tutto questo, lui spegneva internet.
Io avevo imparato a fare altrettanto: se lui spariva per due ore, quando mi rispondeva io rispondevo e poi sparivo per quattro, se lui rispondeva e poi spariva per quattro, io sparivo per otto e così via; avvisavo i miei amici che non mi sarei connessa per le successive tot ore, altrimenti mi davano per dispersa-rapita-morta, che chissà come si regolava Mattia a riguardo me lo sono sempre chiesta, dopodiché passavo quelle tot ore a controllare i suoi accessi dal telefono di Vanni su cui mi ero salvata il numero.
Sì ok, tutto questo è tra il folle, il tossico e l’infantile, ma il fatto è che prima o poi quel cazzo di messaggio lo dovevi leggere e dovevi rispondere, perché non è che potevi stare con internet spento per giorni. Certo, ora che ci ripenso mi rendo conto che oggi come oggi tutto questo sarebbe infattibile anche solo per venti minuti, vista l’incapacità collettiva di stare senza il webbe… ecco perché si è legalizzato il ghosting.
Dopo tre mesi un bel pomeriggio Mattia ha deciso di lasciarmi, possibilmente senza darmi spiegazioni: da un paio di giorni stavamo litigando pesantemente e io avevo pronto un leggendario, terapeutico papirone accusatorio da somministrargli. Avevo anche ben monitorato gli ultimi accessi per accertarmi che non avesse spento la connessione ma quando ho premuto invia, niente, troppo tardi. Una spunta. Una spunta che è durata per ventotto ore. Ventotto ore che probabilmente sarebbero diventate un cambio SIM o un cambio di identità con un biglietto sola andata per l’Havana se io non avessi preso la decisione di smetterla con quel gioco infantile; così mi sono presentata alla sua partita.
Sono entrata in palestra, molto figa, sottolineo molto figa perché, le basi, ci sono tre momenti essenziali in cui una donna deve sfoderare il meglio di sé:
Sono entrata in palestra molto figa, lui ha perso colore in viso, la palla di mano e la partita in generale, dopodiché si è avvicinato agli spalti e mi ha detto di tornare a casa ché si faceva la doccia e sarebbe passato da me.
Con le solite due ore di ritardo, all’una di notte, si è presentato sotto casa. Sono scesa in pigiama, sono entrata in macchina, l’ho guardato e “dimmelo”, gli ho detto. “Eri molto bella stasera”, mi ha risposto la testa di minchia, così cercava di lasciarmi il cazzone, dicendomi che ero molto bella. “Mattia dimmelo”, gli ho ripetuto ed “è finita”, ha finalmente detto, sorbendosi tre ore, tre lunghissime ore di pianto ininterrotto.
Non ho mai pianto così tanto come in quella notte e stavolta non è un’iperbole, dico davvero. Io ancora me lo domando che cosa c’abbia visto in lui per sette fottutissimi anni. Vanni lo chiamava “l’infezione umana”, perché ogni volta che ci ritornavo insieme, mi spuntava un herpes sul labbro.
Le volte successive ci siamo impratichiti, ci lasciavamo con disinvoltura, apertamente, onestamente. Ecco sì, l’onestà di essere stronzi, l’ammissione della colpa: è questo che manca adesso. Vien quasi da rimpiangere quel patetico ‘non sei tu sono io’ a questa merda di ghosting.
Abbiamo tolto le spunte blu, gli ultimi accessi, l’essere online, o anche no perché tanto chi se ne fotte che l’altro veda che lo stiamo spudoratamente ignorando. Magari su Instagram vediamo pure le sue storie, addirittura mettiamo un mi piace, una reaction, mentre lo stiamo spudoratamente, tranquillamente, ingiustament ignorando.
Ma scherziamo? E questo sarebbe il risultato dell’evoluzione della specie? Ma che cazzo di comportamento malsano è questo e se lo dice una che spegneva internet quindici ore per non rispondere a un messaggio, è tutto dire eh. Anche perché poi questo meccanismo di non detti, priva pure del sacrosanto diritto di mandare quei sanissimi, terapeutici papironi accusatori e allora bisogna ricorrere ad altrettante malsane strategie per attirare l’attenzione, del tipo che si iniziano a postare compulsivamente storie di ogni genere così che l’altro si ricordi della tua esistenza e mandi finalmente un cazzo di messaggio.
Insomma, il degrado della dignità umana come ci siamo arrivati a questo punto io non lo so e grazie al cielo Filippo non ha social, l’ho detto che questo qui è bislacco forte ma grazie al cielo non ha i social, sennò adesso sarebbe toccato pure a me escogitare una maniera, una foto, una canzone, una cazzo di frecciatina che rimandasse un messaggio del tipo: “brutto pezzo di limone rinsecchito lasciato in frigorifero, Dio ti vede che mi stai ignorando e io pure” e invece niente, questo essere bislacco non ha social, non ha accessi su WhatsApp, non ha partite di basket a cui presentarsi come una stalker vecchio stile.
Mi tocca fare la persona matura e a quanto pare essere matura secondo le nuove voci della Treccani vuol dire accettare sommessamente di essere ghostata, come del resto nel mio caso richiede il mito e la tradizione.
Fate cazzo attenzione al nome che scegliete per le vostre figlie.