3. YOUNG & WILD & FRITT

Titolo: 3. YOUNG & WILD & FRITT

Ovvero come la letteratura mi ha insegnato a schifare l'inglese, a bere gin e a non rompere i coglioni

Se non m’ammazzano alcool, ganja e guanciale croccante, è probabile che quest’anno mi ammazzi Glandani.

Glandani Gianfranco per gli amici Franco, per la moglie quel povero cretino, 56 anni, 42 se a chiederlo è una donna, è un Senior Manager della Circle, l’agenzia di organizzazione eventi dove lavoro come stagista da fine marzo.

Durante i colloqui di selezione, questo essere canuto e impertinente guardava il mio cv con aria perplessa, mentre sciorinava una solfa del tipo “la nostra policy aziendale bla bla bla innovazione bla bla bla giovani talenti bla bla bla la differenza fa la differenza bla bla bla”, una sequela di stronzate che entrambi sapevamo essere stronzate, dal momento in cui se non fosse stato per la storia delle quote rosa, col cazzo che una multinazionale del genere avrebbe assunto una donna, senza esperienza nel settore, per di più laureata in Lettere.

“Ma adesso mi dica, signorina Pelopini”, mi ha detto a una certa durante il colloquio, “qual è il suo quid, il valore aggiunto che darebbe a questa azienda?”.

La domanda di Glandani mi aveva ricordato un pezzo di Siddhartha, libro che a voler essere sincera ho chiuso a pagina 14, ma di cui ho trovato una bellissima citazione su Facebook. In sintesi, una donzella chiede a Siddharta: "Cos’è che tu hai da dare? Cosa hai appreso, che sai fare?", allorché Siddharta risponde come avrei voluto rispondere anche io:

"io so pensare" molto e male nel mio caso

"so aspettare" soprattutto il 548 in partenza da Tiburtina ma esiste sto cazzo di bus o no?

"so digiunare" questo prima di trasferirmi a Roma.

"Nient'altro?’, chiede la donzella"

"Niente", risponde Siddharta "però so anche comporre versi… Vuoi darmi un bacio per una poesia?".

Vuoi darmi un bacio per una poesia? avrei voluto rispondere anche io Glandani, ma credo che la citazione sarebbe stata fraintesa e che con quella frase avrei infranto una decina di policy aziendali, così mi sono limitata a un “ecco… me la cavo con la scrittura e credo che la mia laurea mi abbia fatto sviluppare un pensiero trasversale” che è il modo più solenne che ho per dire che mi faccio un sacco di seghe mentali e a volte anche tutte insieme contemporaneamente.

Non so se sono brava a farmi pipponi mentali perché sono laureata in Lettere, o sono laureata in Lettere perché sono brava a farmi pipponi mentali, fatto sta che si dice sempre di scegliere una carriera in cui si è bravi e io, che sia nato prima l’uovo o la gallina, a farmi pipponi mentali sono bravissima.

Quando dico di esser laureata in Lettere, la gente reagisce in modo strano. C’è chi mi guarda come un cucciolo di basset hound e mi accarezza il braccio come a dire "sono con te nel tuo dolore, immagino sia dura la povertà"; c’è chi sgrana gli occhi pensando "mio Dio, questa deve essere matta, matta e pesante forte"; c’è chi mi sorride ammiccante sottintendendo "ah, ma quindi non volevi fare un cazzo all’università"; c’è chi si gratta la testa e rimane in silenzio perché non ha ben capito se Lettere possa esser definita una vera università.

A che cazzo serve la letteratura? mi chiedono più o meno esplicitamente in tanti, me lo stava chiedendo anche Glandani quel giorno, e a mio avviso la letteratura serve proprio a non fare queste domande del cazzo e a capire che il mondo è bello perché vario.

Sì, quello che ho imparato dalla letteratura è proprio non rompere i coglioni al prossimo, e questo me l’ha insegnato Dante, Dante che si è creato e infiocchettato tutto un oltremondo per condannare a fuoco e fiamme tre quarti di umanità che gli stava sul cazzo. La cosa bella e importante è che però ha ascoltato le storie di tutti, le ha comprese e le ha raccontate, perché lui l’aveva già capito che non è mica facile stare a galla su sto mondo.

Sì insomma Dante è un po’ come quel barista di fiducia che quando ti vede ti allunga il Negroni col cianuro e tu lo ringrazi per la comprensione.

Ecco sì, è questo: la letteratura serve ad avere rispetto delle storie degli altri e soprattutto a non lesinare sul gin. Fine. La peggiore lezione di sempre, ma per fortuna non ho mai preso in considerazione l’idea ti poter formare giovani menti visto che sto ancora cercando di assemblare la mia.

Oltretutto, da qualche tempo ho dovuto anche rinnegare la mia vocazione, perché i pipponi mentali non danno da vivere, anzi… perciò dopo aver passato un anno e mezzo a vendere libri di merda a persone di merda, la mattina, e a servire panini di merda a persone di merda, la sera, ho deciso di consegnarmi al diavolo, al nemico capitalista, ho fatto un master di 3 mesi in management, io che manco so gestire la piega dei miei capelli, e sono entrata in questa agenzia di organizzazione eventi.

Anzi, mai sia chiamarla così, noi siamo una experiental company, perché il nemico capitalista mica parla in italiano, ma che scherzi, l’italiano fa cafone… ora… la mia non è una considerazione politica, ma credo che un po’ c’hanno pure ragione a dire che avete rotto tre quarti di coglioni con sti inglesismi eh… tutti con quest’aria international quando poi il livello di conversazione con uno straniero è "the cat is on the table".

Che magari, lo capisco, il problema sta alla base dell’insegnamento, perché oggettivamente a che cazzo ci è servito imparare per futuri scenari di conversazione che il gatto è sul tavolo? Sarebbe stato meglio prendere dimestichezza sin da subito con frasi più spendibili, del tipo "non è tanto il caldo quanto l’umidità", "abbonda col Gin in sto Negroni", "guarda scusa non sono depilata stasera non si scopa".

Menomale che ho scelto di non insegnare... Comunque ritornando al topic… ehm… all’argomento principale, la mia azienda vende esperienze. Esperienze molto costose. Esperienze che tra l’altro io nemmeno vedo. Manco l’azienda vedo io.

Ci sono andata un’unica volta, in questa fortezza tutta spigoli e vetrate, grande, grandissima, mastodontica. Mi sono fatta il segno della croce e sono entrata nella città dolente, sono entrata nell’etterno dolore, sono entrata tra la perduta gente.

L’unica ad essere persa in realtà ero io perché con 8 torri di 13 piani ciascuna vai a capire dove cazzo si doveva andare a ritirare il pc aziendale, non c’era una cazzo di indicazione tantomeno un’anima viva a cui chiedere informazioni, che io mi domando, ma che senso ha fare tutto sto tripudio d’azienda, piena di spazi di coworking, il biliardino, i tavolini da ping pong, gli angoli cozy dal design essential con i divanetti e le piante finte rigorosamente finte lucide e sempreverdi, tutto stu burdell se poi in azienda non ci va un bel cazzo di nessuno.

Al secondo piano della torre B ho ritirato il pc: insieme mi hanno dato anche uno zaino, una borraccia, un lucchetto multiuso, una spilla con il logo della Circle e a quel punto mi aspettavo anche tenda e sacco a pelo ma è un’azienda questa o siamo ai boyscout?

Prima di andar via sono passata a salutare Glandani nella torre H ultimo piano, perché ovvio, i boss devono osservare tutto e tutti dall’alto, un tutto e tutti che poi è un bel cazzo di niente e di nessuno in questo caso, cosa che mi ha ricordato quell’episodio del Piccolo Principe in cui c’è un re che comanda su un asteroide totalmente deserto e ho provato tristezza, molta tristezza per Glandani che non ha manco un’assistente in sede con cui fare le corna alla moglie, nel dubbio a me se me lo chiede il mio contratto è full smart, eh eh mi spiace è smart è la policy aziendale.

Non solo non vado in azienda, ma non vado nemmeno agli eventi, benché meno li organizzo, o meglio li organizzo, ma non come mi ero immaginata: le mie giornate le passo a fare call con le strutture e con i fornitori e poi con Glandani e il team e ogni tanto con la moglie di Glandani che mi chiede di ricordare a quel povero cretino il compleanno della figlia e poi col cliente e con Glandani e i fornitori e il team la moglie il cliente Glandani il cliente e la figlia di Glandani che pure lei pensa che il padre sia un cretino e le strutture e Glandani e Glandani e così via.

Call su call su call su call… un altro inglesismo del cazzo che nasconde la triste banale verità che sono niente di più niente di meno di una segretaria del cazzo.

Una segretaria del cazzo che si è venduta al diavolo reincarnato nella persona di Glandani, che dovrebbe abolire lo smart e trovarsi un’amante per scopare e rilassarsi e invece nulla, lui mi chiama alle 7 e 16 del mattino del 1 maggio, festa dei lavoratori, tanto io mica sono un lavoratore, io sono una stagista stressata e sfruttata, mi chiama alle 7 e 16 per dirmi che il tovagliato per l’evento dei sindacati è arrivato un punto di tortora tendente più al grigio che al marrone. E io non so che cazzo dirgli se non il fatto che alle feste la gente pensa a lerciarsi e rimorchiare le stagiste stressate e sfruttate come me, di certo non guarda il tovagliato.

Ma so che il sarcasmo potrebbe non essere compreso, che con quella frase avrei infranto una decina di policy aziendali, così mi sono limitata a un “a lei dottor Glandani non piace Dante, vero?”, “perché?” mi ha domandato lui, “perché si vede da quanto rompe i coglioni” gli ho detto io.

No, non è vero, ho preso lo zainetto degli scout e sono corsa dal cliente, sperando quantomeno di lerciarmi all’open bar.


© 2023 Sabrina Spadaro
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