




Titolo: 13. ALLA FIERA DI PARIS PER 2 SOLDI LA MONONUCLEOSI ARIANNA COMPRÒ
Ovvero un brutto film a metà fra Mare Fuori e Ratatouille
Mamma mia com’è stato bello questo mese di ferie: ho viaggiato un sacco, ho vissuto esperienze incredibili, passioni travolgenti, momenti indimenticabili e soprattutto tanto tanto meritato relax.
No, non è andata così manco per il cazzo.
Sarei rimasta volentieri a Roma, se non fosse che si crepa di caldo, sì l’inferno me lo immagino più o meno come l’asfalto di Roma in pieno agosto. Ma a posteriori forse sarebbe stato meglio quel tipo di inferno a quello che mi aspettava giù, perchè stare nel Piccolo Paese 2 mi mette sempre più angoscia, con le tappe di una mia via crucis privata che mi sono costruita negli anni.
Tappa numero 1: la casa di mio padre, un minuscolo appartamento dietro il suo negozio tra il deposito e il bagno del personale che ho sempre odiato, perché amavo la casa del Piccolo Paese 1 in cui sono nata.
I miei primi 9 anni li ho vissuti al terzo piano di un piccolo palazzo dal tetto color argilla: avevo un camino in pietra che non ricordo di aver mai visto acceso e un balcone grande, in una fioriera ci avevo seppellito il mio criceto preferito.
Da piccola non ho avuto cani ma sorci. Tre-quattro criceti, con uno ci avevano sicuramente fatto degli esperimenti di laboratorio perché c’aveva gli occhi rosso sangue... o forse era semplicemente giustamente incazzato perché la notte ci pisciavo sopra.
Ero sonnambula, non posso dire di esserlo ancora perché nessuno mi controlla più la notte; lo faceva mia madre, più per insonnia che per amore materno, e infatti dopo aver cacciato di casa mio padre, mi ha smollato nella sua casa orrenda per venire a vivere a Roma, e dopo varie peregrinazioni e cambi casa, con lei a Roma ci sono anche io, ma comunque adesso mamma dorme, pesantemente. Tutto questo per dire che non so se sono ancora sonnambula.
Nell’appartamento del Piccolo Paese 1, di notte vagavo per le stanze facendo pipì un po’ dappertutto, nella spazzatura, nel cassetto della credenza del salone, nella vasca da bagno dove c’erano le gabbiette dei criceti; mamma mi ha raccontato che una notte avevo addirittura aperto la porta di casa per farla chissà dove, probabilmente sullo zerbino di quelli del secondo piano che mi stavano sul cazzo perché in ascensore non salutavano mai.
Spero di non aver pisciato anche sul porcellino d’india che ho avuto una decina di anni dopo, a casa di papà che non ha balconi, a malapena ha finestre,e il porcellino d’india infatti l’ho seppellito nel giardino condominiale di mio nonno. Anche mio nonno è morto. Lui però l'abbiamo seppellito al cimitero.
Al cimitero nonno mi ci portava ogni settimana: andavamo lì e poi fuori al carcere, erano queste le nostre attività ricreative. Davanti al carcere mi spiegava che se vedevo panni appesi alle sbarre, allora voleva dire che lì c’erano prigionieri con storie da raccontare, amori segreti per cui lottare e aret e sbarr, sott o ciel c sta o mar for, c sta o mar for, c sta o mar for, nun te preoccupa' guaglio, c sta o m…no ok non andava proprio così, ma comunque non ho mai capito perché mio nonno ogni cazzo di lunedì mi portasse davanti al carcere..
Forse era un monito, forse voleva implicitamente dirmi “Invece sì che ti devi preoccupare: lo vedi che succede se fai la cogliona?!”. A volte vorrei non essere così cogliona per non fargli questo torto…
Comunque in casa di mio padre ci sono stata sempre il meno possibile. Da bambina stavo appunto da mio nonno, poi quando a 15 anni mi sono messa con Alessandro andavo a casa sua, che è la tappa numero 3 della via crucis, perché la 2 è il parchetto dove limonavo duro con Andrea.
Ricordo che estati come questa le passavo fuori al balcone di Ale, nuda sulla sdraio a mangiare ciliegie e sputando giù i noccioli. C’era una scritta, sul muro di fronte: ‘vivere senza amare non è vivere realmente’. Adesso l’hanno ripitatto.
Un altro balcone che mi ha visto spesso nuda è quello di Giorgio, tappa 6, perché la 4 è il campetto dove giocava Mattia, la 5 è la dependance in cui viveva Davide anche se non è proprio proprio nel Piccolo Paese 2… precisamente non so dov’è, c’è sempre il problema della memoria causa cannabis.
Giorgio è un altro glorioso personaggio di cui non si è ancora parlato, arriverà il suo momento ma adesso tocca alle tappe 7 e 8, che sono il pub in cui lavoravo dopo la libreria e il monolocale in ui per un anno ho vissuto con Jean-Claude, l’uomo da cui sono letteralmente scappata e la ragione per cui mi sono trasferita a Roma.
Avrei dovuto capire che Jean-Claude non era quello giusto perché il giorno in cui ci siamo conosciuti è andata a rogo la cattedrale di Notre-Dame. Avrei dovuto prenderlo come segno premonitore, anzi, partendo proprio dal principio avrei dovuto capire che è proprio Parigi che mi porta sfiga.
Sognavo il viaggio a Parigi da quando ero bambina e sognavo di andarci unicamente con l’uomo della mia vita… sì è una malattia che ho sviluppato sin da piccola, la mia... Per i miei 18 anni avevo deciso di non festeggiare stile matrimonio come funziona dalle mie parti: sarei andata nella città dell’amore con Ale, stavo già pensando all’itinerario, anzi l’avevo quasi ultimato, eravamo pronti per andare a prenotare il viaggio sbem: mi lascia.
Dopodiché ci dovevo andare con Giorgio, ok che i viaggi non si riciclano ma sticazzi avevo già tutto pronto. Stavolta prenotiamo voli, hotel, macchina, escursioni, cene, tutto. Tutto. Una settimana prima di partire sbem: mi lascia.
A quel punto credevo che il problema fosse il fattore uomo della mia vita e allora, come regalo della laurea triennale, il viaggio me lo sono prenotata per me e basta, vaffanculo, pronta a prendere tutto quello che Parigi potesse offrirmi… e invece nulla, l’offerta si è rivelata la mononucleosi e la relazione peggiore dei miei fortunatissimi 27 anni.
Jean-Claude è un cuoco, perché si dice cuoco in Italia, cuoco, non chef di stocazzo, e l’ho conosciuto in un bistrot di Montmartre dopo sei estenuanti ore al Louvre senza pausa caffè, senza pausa sigarette e addirittura senza pausa pipì.
Mi sono seduta per mangiare qualcosa, ho ordinato un croque-monsieur che pare na roba raffinata e invece è un tramezzino tostato, niente di più niente di meno; la cucina era a vista così io ho guardato lui, bello, e lui ha guardato me, bella, e belli ci siamo guardati a lungo e lui si stava mozzando un dito col coltello.
È venuto personalmente a portarmi quel toast di merda a 25 euro parlandomi in perfetto italiano, perché sua madre è abruzzese. Abbiamo chiacchierato per qualche minuto, poi lui dovendo rientrare in cucina mi ha chiesto se volessi fermarmi, che avrebbe staccato dal turno a breve e gli avrebbe fatto piacere passare il pomeriggio con me.
Che scenetta romantica eh? Viaggio a Parigi, colpo di fulmine con un aitante che…cuoco in uno di quei graziosissimi bistrot di Montmartre… Sarebbe il preludio di una bellissima storia d’amore no? Ma ormai abbiamo capito che la mia vita è fatta di preludi bellissimi e di svolgimenti catastrofici.
Finito il turno Jean-Claude si siede su uno dei tanti scalini del quartiere e si accende una canna e sì, avevo davanti a me il candidato perfetto per essere l’amore della mia vita. Venti minuti dopo stavamo limonando duro su quegli scalini, qualche ora dopo mi chiama Vanni, lo ignoro, mi richiama, lo ignoro, Vanni insiste
“Rincoglionito che vuoi?” gli ho risposto alla fine
“Oh ma dove sei? Tutto ok? Sta bruciando Notre-Dame!!”
“Sta bruciando Notre-Dame?”
“Arià scusa dove stai?”
Io in quel momento mi trovavo a Saint-Ouen, deliziosa periferia al cui confronto Scampia sarebbe un tranquillo parco giochi per bambini, quartiere dove puoi spingerti solo fino al marché aux puces, il mercato delle pulci, la zona più civile del mercato delle pulci, perché poi diventa peggio delle bancarelle tra la fermata di Piramide e la stazione di Ostiense. Siete mai andati al mercato di Ostiense voi? Appunto.
Ma Jean-Claude non mi aveva portato a Saint-Ouen per il mercato, che era quasi in chiusura e non rimaneva altro che carta straccia e sporca per strada, che però io trovavo così poetica in quel momento… mi aveva portato lì per andare a comprare il fumo.
Ed eccoci, come nei più scadenti film di amore e malavita, mentre mano nella mano entriamo in un condominio sorvegliato da tizi armati, Jean-Claude dice quella che poteva essere la parola d’ordine, entriamo, Jean-Claude mi raccomanda di non staccarmi da lui una volta entrati nello stabile ma io so Arianna Pelopini e tu chi cazz sì pe m ric'r chell ca ij aggia fa… No, non è vero, mi aggrappo alla sua maglietta e saliamo in sto palazzo buio e sudicio dove la gente per le scale beveva, contava mazzette di soldi, giocava coi coltelli o si limonava qualche prostituta.
Credo che fossero esattamente questi gli scenari da cogliona che si concludevano con una branda in carcere o in una bara al camposanto da cui mio nonno mi metteva in guardia... Ma quando Dio distribuiva il buon senso, io ero ancora in fila per le tette.
Comunque, grazie al mio angelo custode che sicuramente a fine mandato chiederà al Padre Eterno un risarcimento danni, sono sopravvissuta sia a Saint-Ouen sia a Notre-Dame.
Quella sera Jean-Claude ha chiesto un permesso a lavoro per passare con me l’indomani il mio ultimo giorno a Parigi: siamo andati all’Orangerie, ci siamo persi per le strade della città, un’altra meravigliosa, romantica giornata di cui non ricordo quasi nulla, perché il fumo di Saint-Ouen è buono veramente.
Ci eravamo promessi di far funzionare le cose a distanza, ma poco dopo il mio rientro Mattia era riapparso come al solito e come al solito c’ero ricascata e tanti saluts a Jean-Claude, che tra l’altro mi aveva mischiato la mononucleosi.
Colpo di scena di questo film da quattro soldi, dopo due anni mi chiama per dirmi che si sarebbe trasferito in Italia. Con Mattia ero di nuovo in rottura, così decido di passare due settimane a mangiare, bere, fumare e fare l’amore nella villa in Abruzzo di Jean-Claude, io però dovevo rientrare per cominciare a lavorare in libreria.
La nostra storia sembrava naufragare ancora una volta, ma lui un mese dopo ha deciso di venire nel Piccolo Paese 2 per stare con me e, visto che come al solito il destino si impegna davvero solo quando vuol fartela pagare, nello stesso momento il proprietario di un ristorante amico di mio padre cercava qualcuno a cui smollare la gestione e andarsene finalmente in pensione.
Io e Jean-Claude abbiamo colto l’occasione al volo e abbiamo coronato il suo sogno di avere un bistrot-pub tutto suo.'Abbiamo' perché ovviamente anche io mi ci sono buttata a capofitto come in tutte le minchiate che stanno mandando in burnout il mio angelo custode.
Abbiamo preso in affitto un bilocale luminoso, romantico, con un bel terrazzo e io per arredarlo ci ho speso tutta la somma che mi aveva lasciato in eredità nonno… che alla fine l'avrà pensato che so' 'na cogliona
Però. stando così le cose, il mio ingresso nel mondo dei grandi mi sembrava davvero davvevo pvomettente: avrei lavorato in una libreria, ergo libri gratis, avrei gestito, ergo mangiato e bevuto gratis, un bistrot-pub e avrei sperimentato le piccole grandi gioie che regala la quotidianità di una convivenza.
Non è andata così manco per il cazzo: in libreria passavo le mie giornate a consigliare romanzi di Savinio a gente che poi comprava la biografia di Ibrahimovic o le ricette di Benedetta Rossi, e anche se avessi avuto libri gratis, e non li avevo, non avrei avuto comunque il tempo di leggerli, visto che staccavo da lì per andare al pub.
Pub in cui sono entrata il primo giorno e durante le pulizie ci ho trovato un topo morto spiaccicato sotto una credenza… capita spesso, mi aveva risposto tranquillo Jean-Claude vedendomi correre e strillare per tutta la sala. E allora lì ho capito che Ratatouille è un cartone liberamente ispirato a storie vere. E alla fine mi è pure dispiaciuto per quel topo, magari era un lontano cugino dei miei criceti… si sa che qui sono tutti parenti di tutti.
In questo utopico mondo dei grandi non avevo pause festive, non avevo pause serali e non avevo pause pipì: la mezza giornata di ferie a settimana la passavo cercando di dare un assetto a un bilocale dannatamente troppo luminoso e perennemente sommerso di vestiti da lavare e di immondizia da buttare, perché in sto cazzo di Piccolo Paese 2 non ci sono i bidoni, no, c’era la raccolta giornaliera e io in quel delirio di esistenza non ricordavo nemmeno più chi ero, figurarsi se dovevo ricordarmi che il lunedì era il giorno della plastica.
In più, Jean-Claude era un coglione. Non c’è molto da argomentare. Era un coglione. A lavoro, in casa, nella relazione. Un coglione. Non ho mai conosciuto una persona tanto incapace a vivere... a parte me stessa.
Dopo un anno, due ernie in L4-L5, quindici chili persi e svariate imprecazioni, ho pensato “Ma non era meglio la galera?” e ho fatto chiudere il pub. A questo punto avrei dovuto chiudere anche con Jean-Claude, ma no, devo pur far lavorare l’angelo custode, quindi sono rimasta con lui e abbiamo deciso di trasferirci in Abruzzo. Magari poteva giovarci l’aria di campagna, potevamo schiarirci le idee e prenderci una pausa da quella quotidianità frenetica, non vedevo l’ora di essere in quella villa silenziosa circondata dal nulla eterno.
La linea che separa l’ozio dalla noia è però molto sottile e dopo 10 giorni ad ammirare tramonti mi ero rotta il cazzo, soprattutto se le uniche forme di vita attorno a noi nel ragio di venti chilometri erano pecore, cinghiali e tutte le schifosissime creature dotate di ali e zampette che nostrosignore ha generato.
Sorci non ne avevo visti, ma sarebbe stato sicuramente avere loro in casa piuttosto che la madre di Jean-Claude, una di quelle divorziate frustrate con la passione per il kundalini yoga, l'omeopatia e l’ipocondria.
Ho iniziato a seguire dei corsi online per guadagnare qualcosa e soprattutto per limitare il tracollo psicofisico, mentre quel coglione di Jean-Claude invece di trovarsi un lavoro pensava a innaffiare l’orticello e fumarsi le canne.
Dopo altri tre-quattro mesi ho nuovamente pensato “Ma non era meglio il camposanto?” e così alle cinque del mattino, mentre Jean-Claude sognava l’orticello, me ne sono andata lasciando la mia macchina, le valigie, i miei libri, le ceramiche, tutto in quella dannatissima villa.
Altra scelta brillante di quel momento è stata quella di andare a Roma da quella stronza di mia madre che non vedevo da diciasette anni, ma meglio lei che ritornare a fare i conti col Piccolo Paese 2, conti che appunto ho dovuto fare quest’estate a cominciare dai cartoni con tutte le cose del delizioso bilocale + la roba che mi ero fatta riportare qui da Vanni dopo che quel giorno mi aveva raccattata dalle lande desolate dell’Abruzzo per portarmi alla stazione più vicina.
Così in questo mese scarso ho cercato di affogarmi in mare pur di non dover aprire quei pacchi e soprattutto pur di non dover rispondere a tutti quei "ma sei tornata?” “che stai facendo?” “e il francese?”.
In effetti chissà come stava passando la sua estate Jean-Claude, chissà se anche lui mi stava bestemmiando come lo stavo bestemmiando io, per avermi fatto passare le ferie a regalare materassi e comodini e le sdraio per il terrazzo che non ho mai usato e quelle orrende tazzine di porcellana a fiorellini rosa comprate quel pomeriggio alle bancarelle di Saint-Ouen.
...Jean-Claude, oggi è 'na bella jurnata, goditela, che accussì nun ne vir assaje.