




Titolo: 6. PAESE CHE VAI, GENTE NEL CESSO CHE TROVI
Ovvero un itinerario alla scoperta del lato autentico delle ridenti cittadine in cui sono cresciuta
L'altro giorno mi è comparso il reel di uno dei novantamila travel blogger che invadono il mio instagrà insieme ad altrettante novantamila osterie romane, che non so che idea si sia fatto di l’algoritmo di me, ma ha capito che i posti dimenticati da Dio e le bettole ripulite in cui si paga poco e si magna tanto mi piacciono più delle foto di gente a caso che mi ricorda costantemente di non essere ancora ricca impegnata e felice. Bravo algoritmo.
In questo reel il travel blogger in questione guidava i suoi folloué alla scoperta, niente di meno, del primo paese in cui sono cresciuta. Non ci potevo credere: quella era la schiacciante conferma che evidentemente ci sono più travel blogger che posti da visitare al mondo perché, onesto, a chi cazzo verrebbe in mente di visitare Piccolo Paese 1?
Piccolo Paese 1, che non si chiama proprio così ma è il soprannome che gli ho dato da bambina, è un piccolo paese del Sud dove sono nata, un buco di culo in mezzo alla campagna in cui tutti conoscono tutti; attrazioni principali: una chiesa a cui chiedere miracoli, il corso dove la gente nei weekend sfila con l’abito migliore dopo aver chiesto miracoli alla chiesa e la piazza col monumento ai caduti che quando ero piccola rappresentava la mia massima aspirazione: non vedevo l’ora di crescere per uscire al Monumento e ciondolare con amici che da lì a una manciata d’anni avrebbero invece passato le sere a fumarsi le canne dentro garage adibiti a locali.
Le serate al Monumento del Piccolo Paese 1 non le ho mai sperimentate, perché a otto anni mia madre ha sbattuto fuori di casa mio padre; io come ogni figlia di separati ho vissuto con lei per un altro anno, finché non ha sbattuto fuori casa anche me per venirsene a vivere a Roma. Perciò sono andata da mio padre in un altro buco di culo che ho chiamato per coerenza Piccolo Paese 2, i cui punti di interesse sono pressoché identici al Piccolo Paese 1: come zona di movida oltre al Monumento c’è anche un parchetto con accanto un campo di calcio a sette, il territorio di caccia perfetto per giovani adolescenti alle prese con i primi sbalzi ormonali.
Qui, precisamente, sono iniziati i miei peggiori guai ed è infatti l’unico posto di questo paese a cui sono affezionata, mi capita ancora di andarci ogni tanto per una birretta nostalgica, accovacciata nel tunnel prima dello scivolo dove ho dato i miei primi limoni duri.
Dai 18-19 anni in poi, i limoni duri gli poi ho dati in città, che per lo più è un grande paese con più chiese e più strade in cui passeggiare con l’abito migliore, Grande Paese in cui più o meno da quegli anni ho iniziato a vivere accampata a casa di Vanni, che dall’università si è trasferito lì.
Vanni frequentava il mio stesso Liceo nel Piccolo Paese 2, ci siamo parlati per la prima volta l’ultimo anno alla festa dei 100 giorni organizzata con tutte le classi. Quella sera abbiamo fatto sesso, chiaro, poi abbiamo iniziato a frequentarci per un paio di settimane, avevamo un bel feeling, parlavamo un sacco.
Proprio in quel periodo lui compiva 18 anni e perciò mi aveva invitato alla sua festa, una delle serate che più adoro raccontare quando mi chiedono perché io e lui non stiamo insieme siamo così una bella coppia.
Apparte due tre persone, alla festa non conoscevo nessuno perché nel piccolo Paese 2 tutti conoscono tutti tranne me che ho un padre rompicoglioni e iperprotettivo che mi faceva uscire in fascia protetta anche se ero maggiorenne, ma sticazzi dopo due Negroni e mezzo siamo già tutti grandi amici trenino Maracaibo c’è il delirio al Maracanà.
A un certo punto vado in bagno, vado in bagno e sento una tipa che mugugnava chiamando incessantemente Vanni, "Vanni Vanni, voglio Vanni". Apro la porta socchiusa e trovo una ragazza spalmata sul cesso, mi giro verso le due ragazze che si stavano tranquillamente specchiando ignorando sta povera creatura in difficoltà, le guardo con aria interrogativa della serie “tutto ok? ma voi la conoscete? magari è meglio aiutarla”, loro fanno spallucce e ridacchiando mi dicono “non farci caso, è tutta scena, per attirare l’attenzione, Vanni non se la fila da settimane”.
Non avrei voluto fare quella domanda, ma dovevo: “ah perché c’è qualcosa tra lei e Vanni?”, “più o meno”, mi risponde una,”diciamo che scopano da un paio d’anni”, aggiunge l’altra. Benissimo, benissimo: l’ennesimo cristo che nelle presentazioni ti dice che tipo di attaccamento materno secondo la teoria di Bowlby ha, ma omette il piccolo dettaglio di essere impegnato.
Mi rigiro a guardare meglio sta povera stronza che dovevo odiare per statuto ontologico visto che era la mia rivale in amore, ma poi l’ho vista lì, disperata, sulla tavoletta del cesso ignorata da tutti e ok Arià adesso serve un po’ di solidarietà femminile, se non altro perché ci sei passata pure te per sta scena raccapricciante.
La prima volta che mi sono ubriacata avevo 14 anni, 1 maggio 2010: ero nel Piccolo Paese 2 nel caratteristico garage adibito a locale di un tipo più grande, che aveva acchittato lì un pranzo a base di focaccia, canne e bocce d’alcol.
Io le canne al momento non le fumavo ancora e il mio drink più forte era il Bacardi Breezer, gusto limone, ma ormai stavo iniziando a uscire con quelli più grandi, quel rito d’iniziazione andava fatto. Nello specifico in quel periodo uscivo con Federico, da pochissimo, e mi aveva invitato a quella festa.
Perciò inizio a bere una bottiglia di birra come riscaldamento e ok, va tutto bene, un morso alla focaccia, poi un bicchiere di vodka pesca lemon e ok, non male, buon sapore, un altro morso alla focaccia ma proviamo un altro gusto, vodka al melone perché no, e mentre ero al terzo brindisi, vedo entrare Andrea, il ragazzo che frequentavo da un annetto...
Lo so ragà qui la trama si infittisce, dovete stare al passo eh, che gli uomini sono tanti, fatevi un elenco puntato, un diagramma di flusso, o leggetevi la sezione s-comparse.
Andrea è stato il mio primo limone duro nel tunnel prima dello scivolo a 13 anni, ne avevo già baciati un paio prima di lui fuori dal tunnel ma non li conto, perché non si sono impegnati, non era un vero limone, quelli di Andrea sì che erano veri limoni. Per un anno abbiamo continuato a limonare con anche qualche altra cosettina in mezzo senza però arrivare al momento clou e senza nemmeno arrivare a una relazione ufficiale.
Cioè, tutti sapevano che Andrea era roba di Arianna e Arianna era roba di Andrea, stendiamo un velo pietoso sulla questione essere roba di qualcuno, il dramma moderno delle persone che diventano cose, amore tossico, mercificazione e altre storie fantastiche; comunque tutti lo sapevano ma la cosa non era esplicitata.
Per intenderci non c’era stato nessun cambio di situazione sentimentale su Facebook in “fidanzato ufficialmente”, nessuna foto insieme con didascalia “il più grande spettacolo dopo il Big-Bang siamo noi io e te”, cose che all’epoca andavo per la maggiore nella definizione di una coppia.
Fatto sta che con l’inizio del liceo, Andrea aveva fatto nuove amicizie e nuove fanciulle gli gonfiavano l’ego… pian piano avevamo iniziato a sentirci e vederci meno e dopo svariate litigate in cui io mi aggrappavo ai coglioni rivendicando giustizia e considerazione, lui aveva iniziato a uscire con una e io allora avevo iniziato a uscire con Federico.
Non pensavo però che i due si conoscessero, anche se come ho detto i piccoli paesi sono buchi di culo è già tanto che non siamo tutti imparentati l’un altro, anzi no, è proprio così, per lo più ci sono due cognomi preponderanti in tutto il paese. E infatti Andrea e Federico erano cugini alla lontana.
Vedo Andrea salutare tutti, farmi il suo solito occhiolino che, maledetto tutto, perché deve essere così dannatamente bello sto cristo e via, mi sono scolata alla goccia il bicchiere di vodka al melone, per poi passare senza più morsi di focaccia al rum e pera, rum e coca e poi ho trovato una bottiglia di gin che a mio parere ci poteva stare proprio bene con il succo all’albicocca e non so se alla fine l’ho bevuto perché da quel frame di me che mischio il gin all'albicocca non mi ricordo più un bel cazzo di niente. Niente. Buco nero. Nessuna attività cerebrale.
Quella è stata la prima e l'unica volta in cui non ricordo proprio nulla di quello che è successo, o quantomeno è l'unica volta in cui so di non ricordare, le altre probabilmente non le ricordo e basta.
Il pomeriggio però non doveva esser stato così malaccio, visto che mi sono svegliata su una brandina apri e chiudi, con Federico accanto e Alessandra Amoroso in stereo che cantava Immobile. Una volta ricollegate le sinapsi, ho dato un limone duro a Federico ricevendo il mio primo sgrillettamento della mia vita e me ne sono andata vittoriosa a casa. Niente male come prima sbronza Arià, davvero niente male.
Certo, magari serviva una colonna sonora più di spessore dell’Amoroso, ma i miei gusti musicali sono sempre stati come le mie scelte di vita: parecchio discutibili.
Il giorno dopo ho però avuto maggiori dettagli del mio black-out e in sostanza, dopo aver bevuto quel gin all’albicocca ho iniziato a parlare con il chihuahua di un tipo che chiamavo elfo, l'elfo era il cane, il tipo lo chiamavo il grande eroe Zorro, e no non c’è un perché al tutto; dopodiché ho avuto una mezz’ora di pianto isterico seduta sul cesso in cui mi lamentavo di essere la ragazza più triste del mondo e che la colpa era tutta di Andrea, Andrea che d’altro canto mi ignorava come le ragazze del bagno alla festa di Vanni, dicendo che era tutta una finta, che non ero davvero ubriaca, volevo solo attirare l’attenzione. Io giuro che ero marcia come una banana lasciata al sole in estate.
Quell’episodio della mia vita mi ha insegnato due cose:
Ragion per cui, quella sera alla festa ho messo da parte il mio orgoglio e le mie remore e sono andata a cercare quel cazzone di Vanni per portarlo dalla povera scema in bagno. Ho trovato Vanni, marcio anche lui come una mela caduta dall’albero, mentre tra l’altro limonava con una tipa. Ho fatto un gran respiro trattenendo la mia voglia di vedere che sapore avesse quell'abbinamento gin e succo d’albicocca, gli ho fatto toc toc sulla spalla e gli ho detto "vieni c’è la tua tipa che sta male e ti cerca".
Così mi sono ritrovata nel cesso di un ennesimo garage-locale del Piccolo Paese 2 a reggere la testa della tipa che scopava da due anni con il tipo che scopavo da due settimane che in quel momento mi stava aiutando a tenere i capelli di tipa 1 mentre contemporaneamente girato dall’altra parte limonava duro con tipa 2, in attesa di scoparsi pure lei.
Roba che Annalisa con ho visto lei che bacia lui che bacia lei che bacia me, me fa na pippa.
Dopodiché, sono passata a reggere anche la testa di Vanni che stava troppo male persino per spegnere le candeline sulla torta figurati scopare tipa 2, torta che a fine serata ho preso dal frigo, intera, e mi sono messa a mangiare abbinandola a gin e aranciata, perché l’albicocca non c’era.
Una volta tornato in sé, Vanni ha passato l’ora successiva a recitare un mantra di scuse e ringraziamenti, io lo guardavo sottecchi con la bocca piena di panna e rancore ma sempre per le lezioni che l’alcol e Dante Alighieri mi hanno insegnato, l’ho capito e l’ho perdonato.
Quella notte che ormai era diventata mattina ci siamo messi a dormire su l’ennesima brandina apri e chiudi nel locale, tanto per mio padre ero al pigiama party di Linda. Linda è stata la mia migliore amica per una buona decina d’anni, grandissima compagna di avventure. Linda non è mai esistita.
"Ma per caso vuoi fare sesso?", mi ha chiesto quel cretino mentre mi buttavo stravolta sulla brandina. "Vanni stai zitto e dormi". Abbiamo convenuto di rimanere amici, anche perché il feeling a letto non era niente di che, bisognava ammetterlo.
Così da nove anni Vanni mi fa da babysitter, segretario, psicologo, pessimo modello di riferimento. E viceversa. Lui è soprattutto la persona con cui mi confronto ogni mattina al risveglio di una serata… ricreativa, chiamiamola così. La conversazione segue più o meno uno stesso copione:
“Ho fatto qualcosa di cui dovrei pentirmi?”
“Che io ricordi no. E io?”
“Che io ricordi no”
“Wella! Stiamo migliorando”.
Ci ha sempre fregato quel che io ricordi…
Ed ecco tutto, amici travel blogger e folloué amanti della scoperta, ecco i veri must da vedere nei piccoli paesi del sud italia da cui alla fine scappiamo più o meno tutti: una chiesa che non concede miracoli, una manciata di gente probabilmente imparentata alla lontana che limona duro nei garage e all'orizzonte un gran bel azzurro mare di guai.